Qual è il ruolo dell’arte per gli uomini di oggi?
Secondo me è quello di farci accettare qualcosa che non capiamo.
Quando siamo di fronte ad un’opera d’arte contemporanea che non riusciamo a capire e che forse ci fa storcere un po’ il naso, in noi si attivano alcuni meccanismi di difesa.
Se però ci prendiamo il tempo di guardarla, di seguirne le linee e i volumi, di ascoltare le nostre emozioni, possiamo scoprire di apprezzarla.
Così, l’opera d’arte diventa una porta che ci fa avvicinare all'accettazione di qualcosa di nuovo, di qualcosa di ignoto.
Oggi ho l’onore di presentare nel mio blog una coppia di artisti che, a mio parere, incarnano questo concetto. Avrò l’occasione di porre loro alcune domande e provare così a comprendere meglio la loro arte.
Seguitemi in questa avventura, tramite la mia intervista a Bertozzi & Casoni.
Giampaolo Bertozzi (Borgo Tossignano, Bologna, 1957) e Stefano Dal Monte Casoni (Lugo di Romagna, Ravenna, 1961) si incontrano, adolescenti, all'Istituto Statale d’Arte per la Ceramica di Faenza.
D'allora, durante la formazione prima e nel mondo professionale dopo, la coppia si nutre delle energie comuni per sviluppare un progetto.
Entrambi, infatti, desiderano utilizzare le conoscenze tecniche della lavorazione della maiolica per approdare nel mondo dell’arte.
All'inizio del ventunesimo secolo, il mondo dell’arte è ancora restio ad accettare l’artigianato come vera espressione artistica. Le arti applicate sono viste con un po’ di antipatia.
Il duo Bertozzi & Casoni però, riesce a superare questo ostacolo e con grande ingegno, prende in prestito materiali e tecniche all'industria per mettere sotto i riflettori il suo lavoro, entrando così nel mondo dell’arte e riscuotendo grande successo.
Si potrebbe pensare che i due artisti abbiano allontanato la tradizione, per arrivare al loro fine, seguendo i dettami di un mondo, quello attuale, che non apprezza l’autentico. Invece, io leggo nell'operazione di Bertozzi & Casoni un violento bisogno di espressione artistica, che non si lascia domare dalla visione dell’élite ma che abbraccia nuove tecniche pur di arrivare al pubblico e di rendersi visibili.
Sappiamo che per un artista creare non basta, l’artista ha il dovere intimo di suscitare emozioni nell'altro, nel pubblico. Ecco perché quella di Bertozzi & Casoni è una storia di successo: sono riusciti a condurre la tradizione alla portata del grande pubblico nelle fiere d’arte, nelle esposizioni e recentemente anche in un museo a loro dedicato.
Nel 2017, infatti, Franco Stefani, fondatore e presidente del Gruppo System, ha finanziato l’apertura del Museo Bertozzi & Casoni, situato nel salone del piano terra della Cavallerizza Ducale di Sassuolo.
Il museo è aperto a tutti il sabato e la domenica dalle ore 15 alle ore 19 e 30.
Tra tradizione e innovazione, la coppia Bertozzi & Casoni lavora in un opificio come se fosse una bottega rinascimentale; utilizza tecniche della tradizione artigianale e le ribalta, per produrre nuovi risultati.
Ecco una bella serie di foto degli artisti all'opera nell'opificio.
Nel corso di più di trent'anni di lavoro, il duo artistico ha saputo forgiare un proprio stile, perfettamente riconoscibile.
Nelle opere di Bertozzi & Casoni l’ispirazione principale è la complessità della realtà che viviamo.
Un grande tema che ritorna nelle loro creazioni è la valorizzazione degli scarti.
Ciò che per la maggior parte di noi è solo spazzatura, per i due artisti, diventa oggetto e soggetto estetico.
Piatti sporchi, tazze vuote, ossa umane e animali, una volta perso il loro compito iniziale, vengono investiti da Bertozzi & Casoni di un significato nuovo: quello dell’opera d’arte.
Come riescono a fare ciò? Studiando la forma e il colore degli oggetti e creando composizioni di indiscussa bellezza.
Ora, posti i pilastri per comprendere la cifra artistica della coppia, direi che è il momento di lasciare loro la parola.
1. Bertozzi & Casoni, due individui che diventano un’entità, per fini artistici.
Come riuscite a conciliare punti di vista e modi di fare da tanti anni?
Abbiamo iniziato a collaborare subito dopo gli anni scolastici e abbiamo condiviso la passione per l’arte. Questo è stato il collante che ha tenuto insieme due identità diverse ma convergenti negli intenti.
Abbiamo sempre parlato e progettato insieme, ma la realizzazione delle opere è sempre stata fatta in autonomia, questo ha permesso che avessimo una certa competizione e crediamo che questo sia stato un incentivo per la crescita del nostro lavoro artistico.
2. Il passaggio da lavorazione tradizionale della maiolica alla creazione di un nuovo linguaggio plastico ha conquistato il mondo dell’arte. Quando e come è nata in voi la consapevolezza di poter arrivare nel panorama artistico mondiale attraverso la sperimentazione?
Abbiamo passato molti anni sperimentando, lavorando anche in un crinale molto stimolante come quello tra arte e design sulla metà degli anni 90.
Il nostro obiettivo era ed è quello di lavorare e vivere nel e del sistema dell’arte, ma non è stato facile, come un muro di gomma ci respingeva. L’arte guardava con sospetto chi come noi proveniva da un percorso dove la tecnica era una parte così importante del fare arte.
Molti artisti hanno usato la ceramica, ma quasi tutti come un diversivo o magari una curiosità che poteva anche offrire una certa diversità nella produzione di un artista.
Per noi l’occasione di una svolta arrivò quando incontrando Gian Enzo Sperone ci fu proposto di esporre le nostre opere a Milano alla galleria Milleventi, era il 1997.
3. Riflessione, studio, intuizione e creazione.
Quale fase della realizzazione artistica preferite? E quale, invece, è più difficile per voi?
La fase che preferiamo è probabilmente la ricerca che viene fatta dopo un’intuizione, un’idea.
Ricercare materiali, immagini e relazioni ci coinvolge come intraprendere un viaggio, un’avventura.
La più difficile è la realizzazione in cui è molto importante tenere il punto che può anche significare in alcuni casi stare su quel punto per un anno o più.
4. “Mondo dell’arte” oggi significa molto spesso gallerie e vendite. Ma per voi sembra importare anche il parere del grande pubblico, soprattutto con l’apertura di un museo a voi dedicato.
Credete che ci sarà sempre questo divario tra le diverse “fasce sociali” nella possibilità di accedere all'arte?
Il mondo dell’arte non è astratto, è fatto di cose reali, gallerie e vendite sono necessarie per poter stare sulla piazza e non sparire.
È comunque molto importante anche la parte sociale che l’arte svolge. Ad esempio il museo che è stato aperto dedicato al nostro lavoro ha un significato particolare anche per dove è collocato, Sassuolo è la capitale della ceramica industriale piana, un museo dedicato a due artisti che hanno privilegiato il materiale ceramico per comporre le proprie opere può fornire a chi guarda una lettura completamente inusuale su questo materiale.
5. Come artisti affermati avete esposto un po’ dappertutto, tra moderne gallerie con pareti bianche ad ambienti sperimentali o rivisitati dalla loro antica funzione.
Quale elemento espositivo/museografico credete che riesca a mettere in luce al meglio un’opera d’arte contemporanea?
Crediamo e abbiamo sperimentato che contrapporre opere classiche a quelle contemporanee dà un’idea di continuità alla creatività di tutti i tempi.
Esporre per esempio le nostre opere accanto a maestri come Carlo Crivelli nella Pinacoteca di Ascoli Piceno e Giulio Romano presso Palazzo Te a Mantova sono state esperienze molto stimolanti oltre che un grande onore.
Gli artisti durante all'allestimento della mostra presso Palazzo Te a Mantova
Stefano Casoni durante l'allestimento della mostra presso Palazzo Te a Mantova
Dettaglio della mostra presso Palazzo Te a Mantova
Dettaglio della mostra presso la Pinacoteca di Ascoli Piceno
6. Attualmente state lavorando ad un nuovo progetto?
E, in ambito professionale, c’è un sogno che non avete ancora realizzato?
Attualmente stiamo lavorando alla realizzazione di una serie di opere dedicata ai “vasi con fiori nella storia dell’arte”, abbiamo al momento già realizzato 9 vasi presi dalla pittura di Giorgio Morandi. Il grande maestro ci ha offerto la possibilità di tradurre tridimensionalmente alcuni dei sui dipinti, piccoli vasi con composizioni di fiori secchi o di seta per lo più senza gambo.
Stiamo proseguendo nella realizzazione traducendo tridimensionalmente alcuni dipinti di maestri della storia dell’arte come Gauguin e van Gogh per chiudere la serie con un vaso dedicato alla pittura fiamminga vagamente surreale che secondo noi bene si intona a quella cultura.
Il sogno da realizzare è vedere il nostro lavoro accettato dal sistema dell’arte.
Un immenso grazie ai due artisti che si sono prestati per questa intervista.
In attesa di ammirare il risultato del loro nuovo progetto ispirato ai vasi con fiori, vi propongo una scelta della loro opere maggiori nelle foto seguenti.
“Madonna scheletrita”, 2008, ceramica policroma e argento, cm. h. 200 x 354 x 241
“Composizione in bianco”, 2007, ceramica policroma e bronzo,
cm. h. 150 x 600 x 300
“Composizione scomposizione”, 2007, ceramica policroma, cm. h. 203 x 620 x 48
“Composizione n. 14”, 2009, ceramica policroma, cm. h. 175 x 323 x 25